Il Tartufo più grande della storia?

Nelle mani di Giacomo Morra il tartufo da 2.520 kg trovato da Arturo Gallerini nel 1951. Il suo valore era di 75,000 Lire e regalato al presidente degli stati uniti Harry Truman.

Le numerose proprietà del tartufo

L’autunno è la stagione di molti frutti della natura utili per il nostro benessere, a partire dalla zucca per finire ai melograni passando per castagne e funghi. Dobbiamo aggiungere anche il tartufo che rivela proprietà inaspettate anche per la cura e la bellezza della pelle.

È molto apprezzato in cucina e dato il suo costo in molti avranno qualche remora nell’utilizzarlo per altri scopi ma dovete sapere che è uno dei prodotti più utili per chi ha pelle sensibile e delicata o per le pelli che cominciano a mostrare i primi segni del tempo.

È infatti ricchissimo di sostanze antiossidanti che combattono i radicali liberi, aiutano a schiarire la pelle rendendola più luminosa e combattendo le macchie. Sembra essere un trattamento antietà naturale, insomma.

Ha anche proprietà elasticizzanti perché stimola la produzione di collagene, che con l’età tende a diminuire e che fa sempre assai comodo, a qualunque età, per sfoggiare pelle di seta.

 

L’importanza del tartufo bianco nella cura della pelle

Proprietà benefiche del tartufo bianco in campo cosmetico

Tutti sanno che il tartufo rappresenta uno dei cibi più pregiati e simbolo per eccellenza di lusso e alta ristorazione.

Negli ultimi anni però, la ricerca medica, ha iniziato ad utilizzare il tartufo con estremo successo anche in campo medico ed estetico. Tant’è vero che sono sempre più le persone che, per le sue straordinarie proprietà benefiche, l’hanno apprezzato a tal punto da inaugurare quella che ormai è definita la “tartufoterapia“.

A questo preziosissimo tubero erano già stati riconosciuti degli effetti antidepressivi e afrodisiaci non indifferenti. Poi i ricercatori di mezzo mondo hanno compreso la sua estrema efficacia anche in campo medico ed estetico tanto da ribattezzarlo come “l’alleato numero uno della bellezza”. Gli studi e le ricerche si sono moltiplicati e le migliori Università del mondo hanno creato vere e proprie “ricette” per il benessere della pelle.

 

I BENEFICI DEL TARTUFO

Oggi il tartufo viene utilizzato come ingrediente principale per lussuose ed efficaci creme in grado di idratare, schiarire, ringiovanire, distendere e riparare i danni della pelle. Dai numerosi test effettuati risulta che le sue proprietà lenitive sono essenziali anche nella cura dell’acne e nella rigenerazione della pelle in seguito a cure farmacologiche piuttosto aggressive.

Da non sottovalutare nemmeno l’alto effetto schiarente grazie ad un enzime che regola la produzione di melanina contribuendo all’eliminazione delle macchie cutanee che altro non sono che accumuli di melanina.



Infine gli è stato riconosciuto un forte effetto lifting derivante da diversi aminoacidi stimolanti, distensivi e nutrienti. E questo rende possibile un minore impiego del fin troppo utilizzato botulino nei trattamenti antirughe.

Ricco soprattutto di Lisina e Metionina (che sono degli aminoacidi essenziali), l’indice di qualità proteica del tartufo è di tutto rispetto. Notevole anche l’apporto di minerali e fibre che contribuiscono a rivitalizzare e rigenerare la pelle. Gli acidi grassi insaturi, tra i quali l’acido linoleico, completano gli effetti idratanti e anti-age del tartufo.

I centri estetici più validi utilizzano il tartufo in vari modi e a costi spesso esorbitanti. Da oggi, grazie ad aziende come la nostra, questo “tubero magico” può essere utilizzato anche a casa e senza l’intervento di nessun operatore estetico.

Diverse Università italiane hanno condotto studi e test molto approfonditi con ottimi risultati clinici. Ed è grazie a questo che le creme ed i sieri a base di tartufo ormai vengono prescritti dai migliori dermatologi come veri e propri trattamenti curativi, andando addirittura al di là del semplice aspetto estetico.

Ovviamente le creme ed i sieri a base di tartufo, com’è facilmente immaginabile, sono molto costosi. Questi cosmetici rientrano tra quelli considerati di lusso e, soprattutto per l’alto costo del tubero, una singola crema del genere solitamente costa intorno ai 100 euro.

CENNI STORICI

L' interesse dell' uomo verso i tartufi ha radici antichissime; infatti, se è dubbia la menzione per cui li ricorderebbe già Giacobbe nel 1600 a.C. E'  invece certo il loro apprezzamento nell' antica Grecia. Gli Ateniesi, a tale proposito, concessero la cittadinanza ai figli di Clerippo, in quanto egli aveva inventato un nuovo modo di cucinare i tartufi . I Romani furono grandi estimatori di questi funghi, anche se probabilmente essi non conoscevano bene il T. magnatum ed il T. melanosporum ma piuttosto il genere Terfezia, reperibile allora nelle aree mediterranee dal Nord Africa all' Asia minore, come sulle coste europee. Plinio il Vecchio, erudito uomo politico romano, tratta di funghi e tartufi in alcuni capitoli dei libri XII, XIX e XXII della sua Naturalis Historia e li dice tanto eccellenti da farsi addentare da Laerzio Licino, pretore di Spagna a Cartagine, il quale si ruppe i denti morsicandone uno in cui era stato nascosto un danaro romano. Tassonomicamente si discusse a lungo se il tartufo fosse da annoverarsi tra i tuberi oppure tra i funghi, disconoscendosi sino a tempi moderni la sua vera natura e biologia. Nei propri scritti Plinio presenta funghi e tartufi come entità caratterizzate da notevoli differenze: sostiene che i primi nascano dalla fermentazione degli umori del terreno o dalla flemma delle radici degli alberi, mentre i secondi paiono originarsi autonomi nel seno della terra, formati da una alterazione della materia stessa del terreno, con la quale non mostrano alcuna connessione di radici o filamenti. Si continuò a credere a tali ipotesi durante i secoli delle barbarie e durante il Medio Evo. Il Rinascimento segnò invece la rivalutazione dei tartufi e, proprio in quel periodo, si iniziarono degli studi basati su criteri scientifici, abbandonando le antiche dicerie fantasiose. L'inglese Ray (1699) ammetteva la presenza di spore nei funghi mentre Goffrey, nel 1711, dava una prima descrizione dell'organizzazione delle tuberacee, mettendo in evidenza l'esistenza di piccoli punti neri nella polpa del tartufo detti ì semi. Micheli, circa venti anni dopo, riprendeva lo studio dei tartufi e riconosceva l'esistenza di germi (spore), in numero di tre-quattro nelle vescicole madri (aschi) e ne dava pure illustrazione. In maniera analoga procedettero altri ricercatori fra i quali si ricordano De Borchii (1780), che constatò la germinazione delle spore e la produzione di fi lamenti bianchi detti micelio, e Vittorio Pico (1787), che diede alcune indicazioni speciografi che, importanti caposaldi della nomenclatura delle Tuberaceae. Attraverso ricerche più o meno attendibili ed interpretazioni immaginarie si giunse all'opera del Vittadini, che nel 1831 pubblicava a Milano un volume di 90 pagine e 8 tavole dal titolo Monographia Tuberacearum, che rappresentò un' opera assai importante per lo studio di questi funghi. A questo scienziato, laureato in medicina ed assistente alla cattedra di Botanica dell'Università di Pavia, si deve l' inizio dell' idnologia scientifica, ossia dello studio dei funghi ipogei. Con la sua opera si assiste, per la prima volta, ad un inquadramento sistematico di questi miceti, con utilizzo di una nomenclatura scientifica per le specie già conosciute o nuove. All' opera del Vittadini fece seguito quella di Tulasne (1851) che condusse un pregevole studio sui Funghi Hypogaei dove, oltre all' inquadramento sistematico, trattava della organizzazione delle Tuberacee, della mancanza di un vero peridio, delle ''vene'' che attraversano líifenchima del tartufo, delle fasi di maturazione delle spore. Seguono trent' anni dopo le pubblicazioni di Chatin (1892) inerenti le condizioni generali della produzione tartuficola e la biologia delle Tuberacee. Si deve a questo studioso la descrizione, dal punto di vista botanico, della famiglia delle Tuberacee e del genere Tuber con ventun specie. E Chatin che tratta delle piante favorevoli alla produzione tartuficola, delle esigenze del tartufo nei riguardi della geologia del terreno ed è sempre a lui che si deve un valido contributo al progresso della tartuficoltura perché raccolse tutto ciò che in quell' epoca si sapeva su questi funghi, aggiungendo una enorme quantità di osservazioni tuttora assai importanti. In Italia si diffondevano invece i lavori di Oreste Mattirolo, insigne studioso e professore di botanica allíUniversità di Torino, che, sin dal 1886, si impegnò nello studio dei funghi ipogei con illustrazione di alcune specie nuove e di altre già conosciute, che classificò con spirito critico. Egli inoltre approfondÏ il concetto della micorrizia e delle possibilità di coltivazione dei tartufi commestibili, risultando uno dei precursori del recente fiorire di studi e di ricerche applicate da parte di Istituti impegnati nel campo della micologia e particolarmente della promozione di produzioni di qualità, quali i tartufi .

Un fungo che cresce sottoterra e per questo detto “ipogeo”, un prodotto talmente pregiato da arrivare a costare oltre 3000 euro al chilo:stiamo parlando del tartufo e delle sue molte varietà. Ma andiamo a conoscere più da vicino questo prodotto così particolare, fiore all’occhiello della gastronomia italica.
Il tartufo, appartenente alla famiglia delleTuberaceae, è un fungo che cresce spontaneamente accanto alle radici di alcuni alberi, con i quali stabilisce un vero e proprio rapporto simbiotico che prende il nome di “micorriza” (dal greco mykos: fungo, e rhiza: radice).
Le fattezze di questo raro frutto della terra sono costanti: la superficie esterna del tartufo (peridio), liscia o rugosa soprattutto a seconda della specie di appartenenza e al terreno di crescita, racchiude un corpo interno carnoso di colore variabile. Dal rosa al grigio, l’interno di un tartufo può presentarsi anche con le tonalità del bianco e del marrone, a volte percorso da striature.

La ricerca del tartufo, prodotto tanto spontaneo quanto raro, è affidata a cercatori abili ed esperti che,accompagnati da cani addestrati, affrontano un’appassionante “caccia al tesoro”: la raccolta è lenta e meticolosa e questo, insieme alla rarità del prodotto e alla singolarità della formazione, rende il tartufo un alimento estremamente pregiato e, conseguentemente, costoso.

Eppure non tutti i tartufi sono commestibili: a fronte di oltre 60 specie di funghi classificate come “tuber”, solo 9 di queste possono essere utilizzate per scopi alimentari. In generale, le specie comunemente commercializzate sono sei e ognuna di queste varia in quanto a sapore e grado di pregio: c’è il tartufo nero liscio e quello nero invernale, il tartufo bianco (chiamato anche Magnatum Pico), il Bianchetto ed infine iltartufo estivo, detto anche “scorzone”.

Che dire, invece, della loro diffusione sulla penisola italiana? Nominare i tartufi significa associarli immediatamente al Piemonte. Eppure tale regione non è l’unica in cui è possibile imbattersi (con molta fortuna!) in questo pregiatissimo alimento: i tartufi crescono spontaneamente anche in Calabria, in Molise, in Emilia Romagna, nelle Marche, in Umbria e in Basilicata. Un posto d’onore va tuttavia riservato all’Abruzzo, vera e propria terra di tartufi.

In Abruzzo, infatti, ogni zona è adatta per cercare e raccogliere tartufi, tanto che ogni luogo e località possiede delle caratteristiche talmente specifiche da favorire la crescita di alcune particolari specie: questa regione è così ricca che si contano almeno 28 varietà differenti di tartufo. Tra i tartufi maggiormente raccolti e commercializzati si nominano sia il tartufo bianco che quello nero, considerato il vero e proprio “diamante” della cucina abruzzese; il tartufo scorzone, al contrario, copre la restante parte del raccolto.
Eppure, conoscere approfonditamente le zone di diffusione del tartufo e delle sue varietà non basta: improvvisarsi cercatori non porterà a nessun risultato concreto in termini di raccolta, perché solo la conoscenza approfondita del prodotto e il valido aiuto di un cane debitamente addestrato sono le caratteristiche che rendono abile un ricercatore. D’altra parte non è neanche possibile diventare raccoglitori da un giorno all’altro: l’Arssa (Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo della regione Abruzzo) ha condotto studi per catalogare e descrivere ciascuna zona ed è doveroso sottolineare che è proprio questo l’ente che abilita all’esame per il rilascio del tesserino da ricercatore, indispensabile per svolgere tale attività. Qualche riga più sopra abbiamo fatto menzione dei cani, indispensabili nell’attività della ricerca e della raccolta dei tartufi: se la razza giudicata più adatta per la ricerca è, secondo gli esperti, il Lagotto Romagnolo, non è raro che i tartufai si accompagnino anche ai Pointer, agli spinoni, ai Cocker, ai Jack Russel e ai Bracchi che, quando ben addestrati nell’attività, possono arrivare a costare anche ottomila euro.

Ma, trovato un tartufo, cosa farne? Inutile dire che si tratta di un alimento molto delicato, oltre che pregiato, soggetto quindi a veloce deperibilità. La conservazione del tartufo non può prescindere dalla pulizia,solitamente effettuata con una spazzola o con un pennello, strumenti utili per eliminare gran parte della terra. Successivamente si passa all’uso di uno straccio con il quale, delicatamente e senza strofinare, si eliminano gli eventuali residui. Una volta pulito, il tartufo va riposto in un contenitore a chiusura ermetica, così da impedire la dispersione del particolarissimo profumo dell’alimento. E’ molto diffusa l’abitudine di ricoprire i tartufi con del riso: il tasso di umidità costante generato dalla presenza del riso evita sia che il prodotto si secchi eccessivamente sia che marcisca anzitempo. Che dire, poi, dell’incredibile profumo che assorbirà il riso in questione? Sarà ottimo da utilizzare in cucina per dar vita a risotti dall’alto potere aromatico.

Poiché è proprio in cucina che il tartufo trova la sua piena realizzazione è opportuno tuttavia fare una differenziazione di uso in base alla varietà che abbiamo tra le mani: se il tartufo nero, infatti, va utilizzato in quantità più generose e da cotto, quello bianco è essenzialmente un aromatizzante e, utilizzato in dosi ridotte per profumare i cibi cucinati, va consumato quasi esclusivamente crudo, spolverato e grattugiato sugli alimenti da insaporire. E in quanto a ricette a base di tartufo, la cucina abruzzese offre moltissimi piatti che trovano proprio in questo alimento un vero e proprio ospite d’onore: dagli antipasti ai primi, dai secondi ai contorni, il tartufo trova la sua piena realizzazione sia in piatti di verdura che di carne. Ed eccolo apparire su crostini, polente, paté e insalate, eccolo protagonista di risotti, agnolottie spaghetti, o ancora di ricette a base di coniglio, merluzzo o filetto. Insomma, il tartufo è un vero e proprio re della gastronomia: il suo sapore dolce e intenso è qualcosa che tutti, almeno una volta, dovrebbero provare.

Note Bibliografiche:
“La filiera del tartufo e la sua valorizzazione in Toscana e Abruzzo” a cura di Enrico Marone - Edizione Firenze University Press (31 dicembre 2011)
“Il tartufo” – La Cucina Italiana – AA.VV- 2004


Credit Foto: In attesa © Gio_1978 - Fotolia

 

 

 

Tartufo e altre virtù: l’oro bianco di Poggio Umbricchio
Come fu trovato l’oro bianco a Poggio Umbricchio è ancora leggenda. E’ successo più di trent’anni fa e il fatto viene raccontato ancora oggi tra i vicoli stretti e ripidi che congiungono le antiche case di pietra di questo nido d’aquile affacciato sull’alta valle del Vomano.
Era una calda giornata di fine estate e Remo stava raccogliendo gli ultimi pomodori nell’orto assolato. Con lui c’era sua figlia, la piccola Catia. Fu lei ad accorgersi per prima dell’arrivo di Assuntina. Catia ricorda Assuntina come “una contadina grande e forte” che stava zappando sotto il grande ciliegio nell’orto accanto a quello di suo padre. Assuntina si avvicinò a Remo e gli mostrò una cosa molto strana che aveva trovato nel suo terreno. Nessuno dei due aveva mai visto prima qualcosa di simile. Catia ricorda che ai loro occhi sembrò una specie di patata scura. Ma, al contrario delle normali patate, quella emanava un profumo molto particolare e intenso. Remo e Assuntina continuavano ad osservare con aria interrogativa lo strano oggetto, poi ne tagliarono un pezzetto e lo odorarono ancora. Si domandavano cosa potesse essere sotto lo sguardo curioso di Catia. Ci misero un po’, ma poi arrivarono ad una conclusione: non poteva che essere un tartufo. Gli abitanti di Poggio Umbricchio conoscevano i tartufi come tutti, ma mai avrebbero immaginato che quei preziosi tuberi potessero nascere anche nel loro sottosuolo. Fu da quell’incontro fortuito che Remo decise di addestrare un cane e di iniziare a cercarli. Così facendo, diede inizio ad una lunga tradizione che ancora oggi resiste a Poggio Umbricchio, tramandata di generazione in generazione.
Dalla storia al giorno d’oggi il passo è breve. L’intuizione di Remo ha fatto sì che i poggiani (così si chiamano gli abitanti del piccolo borgo nel comune di Crognaleto) si appropriassero del frutto più prezioso della loro terra, ricca di varie specie di tartufi, dal nero al bianco pregiato, seguendo con ritardo quanto facevano già altri cercatori che arrivavano nei loro boschi da regioni lontane per portare via i tartufi e commercializzarli sotto altre origini, certo più note e redditizie. Adesso, però, la consapevolezza degli ultimi custodi delle aree interne è cambiata. Grazie anche al supporto di enti attenti alla tutela delle specificità locali e impegnati a combattere lo spopolamento dell’entroterra montano (come il GAL Leader Teramano e lo stesso Comune) è iniziato un percorso di valorizzazione del tartufo bianco di Poggio Umbricchio.
poggio umbricchio tuber magnatum
Poggio Umbricchio durante la fiera Tuber Magnatum
Il primo passo è stato quello di ideare una fiera, Tuber Magnatum (qui la pagina Facebook) dedicata nello specifico al tartufo bianco e giunta alla seconda edizione. La Pro Loco di Poggio Umbricchio, anima della manifestazione, con in testa il presidente Secondo Di Pietro (figlio di Remo e fratello di Catia), è riuscita ad unire le forze dell’intero paese coinvolgendo tutti gli abitanti nell’organizzazione e nella realizzazione dell’evento. Piatto forte, manco a dirlo, è la proposta enogastronomica a base di tartufo locale. Ma accanto al momento culinario, sicuramente di grande attrazione per i visitatori, sono state offerte attività di conoscenza del territorio e delle sue tradizioni. E così la piccola Catia del racconto iniziale, oggi diventata esperta guida del territorio, ha accompagnato gruppi di visitatori alla scoperta dei luoghi panoramici facilmente raggiungibili dal borgo, come il Piano del Monte da cui si gode di una vista meravigliosa sul massiccio del Gran Sasso e la catena dei Monti della Laga, oltre che dei paesi circostanti. Le istituzioni, invece, si sono date appuntamento all’apertura della fiera per un convegno in cui autorità locali e regionali, oltre ad esperti del mondo scientifico, hanno tracciato una possibile linea di sviluppo del territorio attraverso la valorizzazione dei prodotti montani.
panorama gran sasso poggio umbricchio
Il panorama da Poggio Umbricchio sulle vette del Gran Sasso
La strada è, ovviamente, ancora lunga. Ma ci sembra l’unica percorribile per fermare lo spopolamento dei paesi montani iniziato alcuni decenni fa per via delle difficili condizioni di vita. L’obiettivo che bisogna porsi è quello di ricreare un’economia rurale basata sulle risorse del territorio: tartufi ma non solo, ad esempio castagne, prodotti della pastorizia, sfruttamento intelligente del bosco. Da qui, poi, tentare di sviluppare un’offerta turistica mirata che portiflussi turistici sostenibili e consapevoli alla scoperta di luoghi dalla bellezza disarmante e dai sapori impareggiabili. Si può essere ottimisti? Sì, se si pensa all’interesse crescente di tanti giovani verso questi temi e il loro impegno in attività imprenditoriali che stanno muovendo i primi passi nel settore agricolo, turistico e della ristorazione. Poggio Umbricchio può diventare davvero l’esempio virtuoso da seguire, grazie all’amore dei poggiani per la loro terra che deve contagiare le tante altre realtà della montagna teramana ricche di tesori che aspettano solo di essere riscoperti.

Ad Archi la gara nazionale di ricerca per cani da tartufo


Archi. Si terrà domenica 8 novembre ad Archi la garanazionale di ricerca per cani da tartufo, con rilascio del certificato CAC (certificato di attitudine di qualità).
La competizione itinerante, prova di cerca del tartufo tipo A, organizzata dal CIL (Club Italiano del Lagotto) che sta toccando tutto il territorio italiano, farà tappa per il secondo anno consecutivo in Abruzzo e per la prima volta in assoluto nel borgo di Archi, peraltro facente parte del circuito nazionale di“Città del Tartufo”, data la cospicua presenza di tartufo in loco.

Un traguardo importante per il piccolo paese dell’entroterra abruzzese che vive quotidianamente la presenza di molti appassionati, tra i quali Tommaso Bellomo, collaboratore del CIL e addestratore di cani da tartufo: “Lascelta del CIL, in seguito alla mia proposta, di portare ad Archi, nel mio paese, una gara così importante, mi fa immenso piacere. E’ una manifestazione di rilevo, ma anche un momento di condivisione e confronto tra appassionati cinofili provenienti da tutta Italia”.

La competizione si sdoppierà in due giorni: sabato 7 a Roio del Sangro e domenica 8 ad Archi. Il raduno dei partecipanti alla giornata conclusiva di gara, quella archese, avverrà alle 7.30 di domenica mattina presso “La Locanda La Quercia”, in località Piane d’Archi. Da lì si partirà per la gara che durerà l’intera mattinata.

Numerosi gli iscritti (70 a Roio e 77 ad Archi), suddivisi in sei le categorie, che si disputeranno i due trofei messi in palio dal Comune di Archi e dall’Enci – Gruppo Cinofilo Chieti che premieranno, nel pomeriggio di domenica, il miglior maschio e la miglior femmina in competizione.

“Il territorio – aggiunge l’appassionato cinofilo Tommaso Bellomo – è bello e vocato e l’habitat è ideale. Sicuramente verrà fuori una bella gara”.

Gara che sarà valida per il Campionato di Lavoro ENCI, per il Campionato Sociale CIL e per il Campionato Regionale di Lavoro – Sud su TuberMagnatum Pico (tartufo bianco) in tartufaia naturale e che vedrà la partecipazione dei seguenti giudici: Fabrizio Caira per le categorie giovani maschi e giovani femmine, Antonio Ettorre per la categoria libera maschi, Domenico Milillo per la sezione libera femmine e Luca Rondinini per le categorie esordienti maschi ed esordienti femmine.

Grande soddisfazione per la scelta di Archi come tappa nazionale della gara nelle parole del sindaco Silvia Spinelli: “L’amministrazione comunale, con l’intera comunità, èonorata di ospitare sul proprio territorio un evento di tale prestigio. Il Comune di Archi ha da temporiconosciuto l’importanza sociale ed economica del tartufo, quale prodotto d’eccellenza del territorio, aderendo all’Associazione Nazionale Città del Tartufo”. “A tale proposito – aggiunge il primo cittadino – porto agli organizzatori e a tutti i partecipanti il saluto del Presidente dell’associazione Michele Boscagli”.